Contrariamente alla gran parte delle grandi città europee, il ruolo centrale del trasporto pubblico nella mobilità cittadina a Roma va ancora riaffermato. Uno spunto di riflessione.

Scritto da Filippo Guardascione e pubblicato su Diario Romano

Da Fabio Rosati, del Comitato Pendolari Roma Nord e consulente nel campo della mobilità e del trasporto pubblico, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

È sotto gli occhi di tutti che le nostre infrastrutture sono ormai datate e spesso mal tenute. Quindi dovremmo analizzare le prospettive degli investimenti ferroviari e nei trasporti urbani: quelli che già mezzo secolo fa erano in sofferenza e di cui da tempo si auspica il rilancio per correggere lo squilibrio modale verso gomma. In questo senso i fondi europei del PNRR ci offrono una grande occasione: a condizione, però, di spenderli bene e, prima ancora, di saperli spendere. Solo il commissariamento delle principali opere ne può consentire la realizzazione in tempi ragionevoli, saltando l’infinita serie di passaggi burocratici – il più delle volte del tutto inutili – dietro cui si nascondono interessi contrari e veti incrociati.

Abbiamo emergenze divenute ormai drammatiche, come quella della Capitale, in cui non si riesce a proporre una valida alternativa all’uso dell’automobile, tra stazioni della metro che chiudono a singhiozzo per guasti alle scale mobili o allagamenti e (poche) linee tranviarie fuori uso per vetustà del materiale rotabile o dei binari. Se si spera davvero in un cambio modale (meno auto per famiglia, maggior utilizzo dei mezzi pubblici), bisogna disporre di infrastrutture affidabili e competitive. La colpa più grave è che in tutti questi anni c’era tutto il tempo per fare l’unica cosa decisiva: la cura del ferro ed il potenziamento massiccio di un trasporto pubblico non inquinante garantendo, almeno, alcune strade interamente riservate, senza promiscuità, al trasporto pubblico e ai pedoni. Ma, in ogni caso, qualsiasi cosa si voglia fare, è vitale uscire dall’attuale FarWest dove impera la legge del più prepotente; e, quindi, assicurare da subito una massiccia e costante presenza dei vigili nelle strade. Occorre, insomma, un immediato segno alla città di drastico cambiamento.

Del resto, la sostenibilità della mobilità urbana, delle merci come dei passeggeri, urbana come extra-urbana, è un obiettivo di politica economica e ambientale non più differibile. La riduzione della concentrazione di inquinanti locali e la decarbonizzazione dei servizi di trasporto sono state tematiche di discussione centrali per il Governo, a testimonianza della connotazione non politica di alcune scelte, ormai definite nel corso degli anni. A fare da controcanto a questo scenario, è giunta la pandemia, che ci ha fatto riscoprire la bellezza dell’ambiente extra-urbano e l’importanza della qualità della vita, inducendo sì una momentanea riduzione (anche se non eccessiva) della concentrazione di particolato nei centri urbani, ma anche una insostenibile rarefazione delle interazioni sociali.

Quando si inizia a discutere di mobilità sostenibile, il pensiero corre quasi immediatamente alle auto elettriche, al car-sharing, alle biciclette, e solo dopo si comincia a riflettere sul ruolo dei servizi pubblici, ovvero quel complesso sistema arterioso fatto di autobus, tram, metropolitane, che regge non solo le nostre città, ma anche le loro reciproche interconnessioni. Il trasporto pubblico locale, nei lunghi mesi dei lockdown, ha sofferto di un’enorme contrazione della domanda che, ancora oggi, fatica a riprendersi e parrebbe essersi assestata su un -20% rispetto al 2019. A latere di questa drammatica situazione, è necessario considerare che il costo complessivo del lavoro, nel comparto, è pari in media all’80% del fatturato (con punte del 98% nel Mezzogiorno) e che il Margine Operativo Lordo è pari ad appena il 5% delle entrate.

Si comprende bene come questo settore, che dovrebbe costituire la nerbatura stessa di qualsiasi strategia di decarbonizzazione della mobilità, si trovi oggi stritolato tra una congiuntura sfavorevole, una struttura mediamente debole e le sfide della decarbonizzazione che richiedono massicci investimenti per rinnovare il parco-veicoli.

Il PNRR ha previsto circa 2 miliardi di euro per il rinnovo della flotta degli autobus in chiave green, ma, dati i volumi di passeggeri ed i rischi comunque connessi alla nuova organizzazione delle città, è oggi necessario ripensare il modello organizzativo del mercato del trasporto pubblico locale per promuovere investimenti anche di natura privata lungo tre linee di intervento.

Innanzitutto, gran parte dei mercati locali sono chiusi rispetto alla concorrenza, con servizi operati in-house che, di proroga in proroga, rendono di fatto impossibile l’ingresso sul mercato di altri operatori, a svantaggio dei consumatori. Oggi le aziende che operano in «mercati chiusi» sono più inefficienti, con circa il 20% di costo del lavoro in più ed un utile lordo più basso di oltre tre volte rispetto alle aziende soggette a concorrenza per il mercato. Un’apertura in questo senso potrebbe consentire significativi guadagni di efficienza.

Inoltre, l’offerta soffre di una grave carenza di forza lavoro, ad indicare la necessità di riorganizzare le aziende, rendendole più sofisticate e attraenti, dunque, investendo in capitale umano e welfare per i lavoratori, con interventi che necessitano di ulteriori capitali. Infine, è evidente che il settore necessiti di investimenti in capitale fisso, ma anche in capitale umano, dunque necessita di risorse che sembrerebbero non essere presenti nel comparto. Per poter risolvere questo enigma è necessario partire dalla constatazione che il trasporto pubblico ha un intrinseco valore sociale.

Pertanto, è necessario ripensare lo schema dei sussidi ed anche il riparto del Fondo Nazionale (oltre che la sua dotazione, rifacendosi al chiaro principio del «chi inquina paga») perché si possa tener conto del processo di modernizzazione delle aziende, e non più solo delle necessità, vagamente espresse, dei territori serviti.

Le politiche per la mobilità sostenibile sono fortemente improntate alla sostituzione delle tecnologie di trasporto ed è quindi necessario riqualificare il ruolo delle aziende del trasporto pubblico locale, sostenendo la domanda di mobilità collettiva, e favorendone, finanziariamente, gli investimenti.

Infine, c’è un’ulteriore questione che mi pare dirimente nella scelta se utilizzare o meno il trasporto pubblico: quello della sicurezza. Dopo i recenti episodi accaduti a Roma come in altre città, i riflettori si sono nuovamente accesi sulla situazione nelle stazioni, da molti ritenute, a torto o a ragione, poco frequentabili. Tutto ciò, naturalmente allontana molti potenziali clienti dai mezzi pubblici, proprio laddove il loro uso sarebbe più importante, vista la perenne congestione della rete viaria, in zone la cui densità abitativa è stata definita, in una recente inchiesta sul Corriere della Sera, “il Bangladesh d’Italia”. E logicamente si innescano altre spirali perverse: meno controlli comportano più evasione tariffaria; meno introiti e più vandalismi fanno lievitare i costi di gestione; se si risponde con aumenti tariffari si rischia di allontanare altri possibili viaggiatori.

Ma, se non si riesce ad intervenire su queste criticità, la sfida per il cambiamento modale e per la mobilità sostenibile è pregiudicata in partenza. Il trasporto pubblico deve costituire la priorità assoluta; in esso si incrociano l’emergenza più pesante e le più delicate questioni strategiche. Non è possibile alcun discorso sul futuro se non si parte da tale presupposto. La città di Roma ha bisogno, prima di ogni altra cosa, di una robusta “cura del ferro” se si vuole assicurare uno sviluppo armonioso. E come è stato già evidenziato, per far tornare “sovrano il ferro, inteso come ferrovie metropolitane e tram, si deve ripartire dai fallimenti cognitivi e operativi” (Tocci), ma per ripartire dai fallimenti bisogna, prima di tutto, ammetterli e riconoscerli, questa è la precondizione della trasparenza e del cambiamento delle politiche, delle scelte, dei comportamenti e della grammatica con la quale si organizza e condivide la visione e la strategia politica di sviluppo e trasformazione dei servizi ferroviari e quindi della città.

 

Fabio Rosati, Comitato Pendolari Roma Nord e consulente nel campo della mobilità e del trasporto pubblico

 

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